Disastro Napoli! Disastro Italia!

Continua il momento nero del calcio italiano
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Chi l’avrebbe detto che al primo atto della “Champions League” il Napoli sarebbe stato eliminato, cestinando un’intera stagione appena passata? Le fatiche di un campionato, un terzo posto conquistato agevolmente, una possibilità di accedere alla massima competizione europea per club. Tutto si è infranto in pochi minuti , il 27 agosto, nella bolgia del “de San Mamés” di Bilbao, nonostante l’illusorio vantaggio di Marek Hamsik. Vorrei porre la mia attenzione non tanto sulla cronaca dell’incontro (finito 3-1 per gli spagnoli), né tantomeno sull’andazzo della due gare che di fatto hanno decretato l’eliminazione del Napoli. Vorrei porre la mia attenzione sull’ennesimo fallimento del movimento calcistico italiano che anno dopo anno, stagione dopo stagione, affonda impantanato nel vecchiume più totale e che stenta a rialzarsi perché infarcito di chiacchiere, finte promesse e squallidi teatrini. I motivi sono molteplici, incominciando dall’inesistente voglia di cambiamento, dalla mancanza di investimenti e investitori, da un paese ostaggio delle tasse e da tutta una serie di retaggi e luoghi comuni che si trascina stancamente nel calcio come in tutti i settori del quotidiano. Il disastro del Napoli è l’immagine dell’Italia, di un calcio antico, dove, tralasciando lo sforzo delle “provinciali”, che vuoi o non vuoi debbono scommettere sul vivaio, nessuno dei “TOP CLUB”, mostra di credere in un progetto casereccio, giudica e bolla per inadeguati, troppo in fretta, un giovane giocatore che tenta di lanciarsi nel massimo campionato, affidandosi troppo spesso a giovani di altri paesi, a volte anche a vecchie glorie che tentano di rilanciarsi ma che in realtà “vengono a svernare”. Come si può pretendere di concorrere con club che posseggono stadi di proprietà? Che sviluppano un vivaio attraverso seconde squadre regolarmente iscritte nelle divisioni minori? Che progettano allenamenti all’avanguardia e firmano accordi stramilionari con grossi sponsor? In un paese come il nostro, fatto di giochi di prestigio e millantate competenze il calcio è stritolato e vivacchia di espedienti ormai obsoleti. Anche noi giornalisti (ci metto la faccia in primis) dovremmo cercare di avere pazienza quando giudichiamo un giovane calciatore. Non bisogna azzardare paragoni impossibili né erigere a pilastro un diciottenne solo perché ha indovinato due partite e quattro dribbling, come non dovremmo affondarlo se ha sbagliato una decina di incontri, magari anche determinanti. Troppi soldi, troppe aspettative, troppa poca obiettività. Difficile del resto quando ci si trova nel “bar sport” con gli amici a canzonare di epiche vittorie e utopiche imprese ancor prima di redigere un articolo.

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